«Pista difficilissima, abbiamo una perlustrazione in atto proprio adesso. Stamattina dopo un primo tentativo abbiamo incontrato cumoli di neve alti fino a un metro. Abbiamo provato a sfondare ma siamo stati fermati. Lavoriamo ad altre soluzioni per andare Oltre. Petter Johannesen»
Piste e muri di neve
Che gli Urali avrebbero dato filo da torcere alla carovana di Oltre era ampiamente previsto, e così è regolarmente accaduto. Le montagne chiudono la strada e sulle piste si accumula la neve: i 20-30 centimetri della pianura spazzata dai venti diventano un metro e più tra le valli che si insinuano in direzione della Siberia. Petter Johannesen e i suoi compagni d'avventura cercano una soluzione che permetta di raggiungere la Siberia occidentale e continuare il loro lungo viaggio in auto e camion verso lo Stretto di Bering
Inta, il gulag diventato città
Venerdì scorso la carovana ha raggiunto Inta, una cittadina mineraria che - come accade spesso nella Russia artica – ha meno di un secolo di storia e già molti anni di sofferenze da raccontare. Con la vicina Vorkuta, città simbolo del sistema concentrazionario negli anni '30 e '40, Inta è stata costruita anche con la mano d'opera forzata da migliaia di vittime delle purghe staliniane e poi con l'emigrazione interna basata sugli incentivi degli anni '60. Come le altre città di questa repubblica scarsamente popolata (Komi), la sua storia si intreccia con quella dell'estrazione del carbone e degli altri minerali di cui è ricco il sottosuolo. Da zero a 60mila abitanti già alla fine degli anni '50, poi un lento passaggio dal sistema carcere a una vita civile, che ruota comunque intorno alla miniera. Negli anni '80 la perestrorika porta libertà di movimento ma anche il tracollo del sistema economico e sociale: in pochi anni oltre un terzo della popolazione lascia la cittadina per Mosca o per raggiungere le nuove capitali artiche del gas e del petrolio che sorgono nel nord della Siberia occidentale. Nel 1998 il crollo del rublo scatena la protesta dei minatori che, proprio a Inta, bloccano la ferrovia del nord e costringono le autorità a trattare un nuovo accordo salariale che non ferma però il desiderio di partire.
La pista invisibile
"Ieri abbiamo avuto le condizioni peggiori immaginabili. Nevischio cielo basso e grigio, nessun contrasto di luce: non si vede il contorno o il profilo della pista. L'unica cosa è procedere molto lentamente sperando che 20 centimetri a destra o a sinistra ci sia sempre qualcosa su cui le ruote dei nostri mezzi possano poggiare solidamente. Non accade sempre. Durante gli ultimi chilometri percorsi prima di raggiungere la cittadina, un Daily della carovana ha avuto un incidente. Il suo fianco destro - entrambe le ruote - si è piegato in quello che per un momento sembrava l'inizio di un ribaltamento completo. Per fortuna nessun problema per chi era a bordo, e fortunatamente nemmeno per il mezzo, poiché si è di fatto "poggiato" sulla neve. Per rimettere in pista il veicolo ci sono però volute 3 ore di lavoro a oltre 30 gradi sotto lo zero. "Quando tutto è bianco non si vedono i confini della pista – racconta Johannesen. Tutto diventa uguale e nonostante tutti gli sforzi che facciamo a volte diventa impossibile evitare che le ruote poggino in un punto di cedimento".
Accoglienza calorosa
I 12 della spedizione Oltre raccontano di aver ricevuto a Inta la solita buona accoglienza della popolazione locale. Curiosità per i mezzi – 4 fuoristrada Massif e 2 Daily 4x4 - e per gli "italiansky" che si spingono lungo piste impossibili nel pieno dell'inverno. Accolti nella mensa di un kombinat metallurgico hanno poi però sperimentato l'ostinata verifica della polizia di frontiera (siamo al confine tra distretti dei Komi e okrug dei Neneti). Tutti fermati e trattenuti per alcune ore per una lunga e approfondita conversazione intorno ai permessi degli uomini e dei mezzi, che si è conclusa serenamente dopo molte spiegazioni e qualche telefonata con gli uffici consolari arrivata da Mosca.
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